La tradizione dei cenciaioli è uno dei vanti della città di Prato, un mestiere tramandato “a voce” dai più anziani. È uno dei tanti spunti emersi dall’incontro con Niccolò Cipriani, founder di Rifò, che ci ha raccontato come questa tradizione abbia costituito le basi per replicare nella sua azienda lo stesso procedimento. Infatti la linea di abbigliamento e di accessori di Rifò è prodotta al 100% da fibre rigenerate e rigenerabili, facendo sì che non ci sia un sovraconsumo e una sovrapproduzione nel settore tessile e della moda. L’idea è venuta in mente a Niccolò durante un viaggio in Vietnam, dove ha avuto modo di vedere e rendersi conto delle quantità ingenti di fibre e tessuti scartati. In quest’epoca del fast fashion è ormai rinomato il fatto che i capi che possiamo acquistare e che ci vengono proposti (o meglio spammati sul web e di cui dobbiamo per forza fruire senza una minima via di fuga) non abbiano lo stesso valore tessile che in realtà riescono ad avere quelli di alta qualità e che vengono prodotti nel rispetto dell’ambiente.
Uno dei punti cardine dell’impegno di Rifò è quello di mantenere un pensiero etico per quanto riguarda l’ambiente, la moda e il lavoro. Una delle domande poste durante l’intervista concerne il riuso di fibre tessili di scarto, e come possa esserci un parallelismo tra le persone che vengono poste ai margini della società; Rifò infatti cerca di implementare tramite il progetto “Nei nostri panni” l’assunzione di persone che sono in questa situazione, cambiando la visione che si ha sulle persone che non riescono ad avere una stabilità economica o sociale, e che hanno bisogno di aiuto. Come le fibre tessili usate da Rifò così queste persone vengono tolte dai margini e iniziano a far parte di un progetto più grande, fatto di coraggio e di scelte importanti. Il rispetto per l’ambiente è infatti uno dei focus di Rifò: occupandosi di slow fashion è fondamentale prestare attenzione a ciò che succede sul nostro pianeta, dando nuova vita ad una delle più grandi cause dell’inquinamento – le discariche di rifiuti tessili.
Non si tratta solo di moda per Niccolò Cipriani, si tratta di valore declinato in vari rami: il valore del prodotto, quello della produzione e quello umano. “L’abito non fa il monaco”, ma noi scegliamo come vestirci, cosa trasmettere con i nostri vestiti, dando ad essi un valore e attribuendone a noi stessi un altro. Questo è ciò che ci dà modo di essere percepiti dalla società in modi diversi. Proprio per questa questione sul sito di Rifò non ci sono sconti, perché, come ha precisato il founder dell’azienda, “applicare uno sconto è ridurre il valore del capo”: è un problema che consegue dal surplus, ma dimezzando il valore economico di un capo significa che si è speso molto meno per produrlo. Se ai nostri occhi pagare meno è più appetibile, a livello morale dovremmo iniziare a riconoscere che in realtà non c’è nulla di positivo nell’acquistare qualcosa che non ci darà lo stesso risultato e che con un’alta probabilità non ha la stessa qualità.
La somma di tutti i fallimenti e la sensazione di aver sbagliato è un modo di percepire i piccoli errori nel corso della vita, che secondo Niccolò Cipriani dovrebbero contribuire a costruire un percorso più grande che ci porterà alla conquista dei nostri sogni e dei nostri progetti. È stato naturale per le nostre speaker parlare allora di upcycling e relazionarlo al fallimento, ma questo riciclo creativo non è bastato al founder di Rifò che ha preferito ribaltare ulteriormente la visione del fallimento: ai microfoni di Butterfly Area Stories ha menzionato l’arte giapponese del Sashiko. Documentandoci abbiamo in effetti scoperto che Sashiko è una tecnica di cucitura tradizionale a mano, che attraverso un semplice punto di cucitura ha l’ambizioso compito di recuperare tessuti di scarto e usurati per dare nuova vita.
E così abbiamo imparato una lezione importantissima tramandata da questa arte giapponese e che Rifò ha fatta sua: la bellezza dell’imperfezione, il minimalismo, la semplicità, l’avversione allo spreco, l’attenzione alle risorse, il riutilizzo di oggetti e tessuti che rappresentano l’epitome dell’upcycling e che i giapponesi tramandano con il termine “mottainai”, una sorta di senso di rammarico per gli sprechi. Da qui, un fallimento. Da uno scarto, la rinascita. Tramite la testimonianza di Niccolò Cipriani ci si può rendere conto come un fallimento non sia nient’altro che un piccolo gradino per arrivare alla realizzazione di se stessi e dei propri sogni. Il sogno di Niccolò era quello di fare la differenza, di portare una problematica mondiale ad una soluzione creativa e che potrebbe potenzialmente essere di grande aiuto. Inizialmente Rifò doveva solo sopravvivere ad un mercato competitivo ed allo stesso tempo dinamico, ora deve entrare nei mercati più sensibili e stabilirsi al loro interno, per raccontare come una storia di fallimenti sia diventata una grande conquista nel panorama italiano.