Per iniziare a descrivere Vera Gheno possiamo dire che è una sociolinguista di rilievo che ha dedicato la sua carriera allo studio e alla divulgazione della lingua italiana in contesti digitali e tradizionali. Limitarci però a questo sarebbe riduttivo poiché è anche saggista, divulgatrice, attivista, traduttrice dall’ungherese e micro-personaggio pubblico. Ha inoltre un’esperienza ventennale presso l’Accademia della Crusca e una collaborazione quadriennale con Zanichelli. Docente a contratto presso l’Università di Firenze per 18 anni, Gheno ha ottenuto nel settembre 2021 il titolo di ricercatrice, consolidando ulteriormente la sua autorevolezza accademica. Attualmente, conduce da circa un anno il podcast “Amare parole” su Il Post, dove esplora i cambiamenti linguistici attraverso notizie, fatti e dichiarazioni di rilievo. Inevitabilmente ha giocato e gioca tuttora un ruolo cruciale nel dibattito linguistico contemporaneo.
Presentare esaustivamente Vera Gheno diventa quindi complesso considerando la poliedricità delle attività, conoscenze e capacità che la sociolinguista ha a livello di curriculum. Ma questo è un argomento caldo. Determinare l’identità professionale delle persone è un tema linguistico e sociale caro alla Gheno. Oggi è automatico identificarci nel bagaglio di esperienze legate all’ambito scolastico e lavorativo, escludendo durante una presentazione personale quelle che sono le nostre caratteristiche più intrinseche e che ci rendono ciò che siamo. Questo avviene poiché la posizione lavorativa o scolastica determina la nostra performatività sociale all’interno del contesto in cui viviamo. Ci determina e ci mette in competizione con le posizioni degli altri. Per le donne l’accesso a posizioni professionali di rilievo e quindi la determinazione di maggiore performatività sociale è una novità, diventa un gesto di rivendicazione dei diritti conquistati negli ultimi anni di valorizzazione del ruolo femminile nel lavoro e nella società.
Le parole sono importanti però per definire noi stessi, ma anche gli altri. In questo articolo, esamineremo il concetto di sostenibilità delle parole, un tema importante per Vera Gheno, e lo faremo analizzando come la scelta dei termini che utilizziamo quotidianamente possa influenzare la nostra comunicazione e il nostro modo di percepire il mondo reale e online oltre a determinare in che modo ci rapportiamo con gli altri.
Per parlare di successo e fallimento Vera Gheno mette subito in chiaro il principio in cui crede fortemente: in natura non esiste nulla di specificamente binario. Tra un fallimento ed un successo le sfumature possono essere infinite e non si può quindi dare un valore negativo o positivo assoluto. Il nostro sentirci falliti spesso è determinato dalla stessa società performativa in cui viviamo che esprime un voto su tutto ciò che facciamo e lo classifica come male o bene. La dicotomia spesso spinge le persone a considerarsi già fallite prima ancora di aver iniziato un qualcosa.
Questo paradigma va cambiato a partire dagli stessi termini che utilizziamo per descrivere queste situazioni. Un esempio? Vera Gheno propone di utilizzare il termine fallente piuttosto che fallito. Il participio presente del verbo fallire apre la possibilità a chi viene etichettato di potersi rialzare e fare cose nuove. Questa visione non solo aiuta a non essere incastrati in etichette, ma offre una sponda per superare momenti difficili e pone le persone in un rapporto più possibilista rispetto ai propri fallimenti.
Le parole, quindi, sono importanti per definire le cose che ci succedono. La vita che viviamo e le parole che utilizziamo si intrecciano e creano conseguenze su di noi e sugli altri. Per Vera Gheno è importante ragionare sull’utilizzo delle proprie parole in modo da creare dei circoli virtuosi con le persone con cui ci interfacciamo anche se l’argomento può essere difficile come un fallimento.
Queste dinamiche non influenzano solo la realtà che viviamo, ma anche i rapporti che si sviluppano in rete perché la realtà on-life e quella online sono comunque comunicanti e collegate.
Vera Gheno parlando di linguaggio inclusivo cerca di fare un ulteriore passo sulla prospettiva con cui possiamo vedere e confrontarci con la diversità introducendo il concetto di linguaggio ampio. Un linguaggio è ampio quando riesce a considerare il punto di vista di tutti, riconoscendo le differenze e mettendo tutti sullo stesso piano. Per spiegare questo concetto Vera si distacca da concetti come “ linguaggi inclusivi” perché portano già il seme del “diverso”.
Ci spiega: il problema del linguaggio inclusivo è il punto di vista di chi include, i “normali” che fanno concessioni agli “anormali”. Di conseguenza, il punto di vista di chi viene incluso non viene considerato, lasciando queste persone categorizzate come diverse rispetto a chi le include. Secondo questo paradigma sarà sempre la persona eterosessuale ad includere quella omosessuale, la persona bianca ad includere quella di colore e così via. Con il linguaggio ampio siamo tutti uguali, pur rispettando le singolarità e le differenze degli altri.
In conclusione, consapevoli che l’uomo è un animale sociale e che quindi ha bisogno degli altri essere umani per vivere, la soluzione per una vera umanità diventa molto semplice agli occhi di Vera Gheno: iniziare a trattarci in modo umano attraverso le parole giuste e più belle.